Sono un consulente nutrizionale, e volevo aggiungere qualcosa sulla pericolosita’ degli zuccheri.
Fino a qualche migliaio di anni fa, il nostro progenitore cacciatore e raccoglitore passava la giornata inseguendo, scappando, costruendo rifugi, armi ed utensili o, negli ultimi 10 mila anni, coltivando la terra.
Nelle sue mani affamate o in fondo alla sua ruvida ciotola cadevano alimenti di vario genere.
Animali (carne, grasso, interiora) se la caccia era stata prosperosa. Spighe selvatiche o coltivate, piccoli tuberi o radici nel tempo della raccolta.
La frutta, ovviamente, era la benvenuta: piccole mele o susine parzialmente contese agli insetti, magari ruvide e raggrinzite, anche se intatte dal punto di vista del patrimonio nutritivo.
Un cespuglio straripante di more o un albero da frutto in piena maturazione erano una vera festa.
Ancor più rara l’occasione di saccheggiare un nido di api per procurarsi il delizioso dolce miele.
In queste condizioni, ogni pasto era fortemente fibroso, composta da carne di vario tipo, steli di verdure crude, cereali in chicchi da masticare lungamente.
L’evenienza di un pasto “ricco di zuccheri” era dunque un fatto rarissimo: il nostro organismo si è evoluto con la capacità di affrontare brillantemente, ma non troppo spesso, un eccesso di zuccheri.
Tale occasionale abbondanza era un prezioso dono: gli zuccheri in eccesso venivano stivati come grasso nelle cellule adipose, scorta salva-vita per i momenti difficili.
Ma oggi il rischio è di esporre continuamente il nostro organismo a queste “orge zuccherine”, mandando in tilt la capacità del meccanismo di controllo degli zuccheri di gestire il tutto per la nostra piena salute.
Prima di tutto facciamo chiarezza, introducendo due definizioni che ricorrono spesso a proposito, ed anche a sproposito, quando si parla di stimolo alla produzione di insulina.
L’indice glicemico di un cibo ci fornisce un’idea sulla capacità di una sostanza di innalzare la nostra glicemia. E’ infatti un indice che quantifica l’efficacia della componente zuccherina di un alimento nel far crescere il livello di zuccheri del nostro sangue.
Il carico glicemico è invece un valore che si ottiene rapportando l’indice glicemico di un certo cibo alla sua porzione media e alla frazione zuccherina effettivamente contenuta all’interno di quell’alimento.
Introdurre il concetto di carico glicemico ci costringe a:
– farci un’idea della “porzione media” di un cibo
– riflettere sul fatto che mangiare un alimento di indice basso non ci farà bene, se di questo alimento ne assumiamo una porzione gigantesca: l’effetto sull’insulina sarà comunque alto.
– In altre parole, non dobbiamo spaventarci se un cibo (ad esempio il melone) ha un alto indice glicemico: poiché la percentuale di zuccheri del melone è molto bassa (dato che è quasi tutto composto di acqua) il suo carico sarà bassissimo, e potremo mangiarne in quantità senza che l’insulina ne sia disturbata.
Al contrario un alimento secco e concentrato (come lo zucchero bianco o come un biscotto secco di farina bianca), se ha un indice glicemico alto diventa molto pericoloso, perché il suo carico glicemico sarà parimenti elevato anche per quantità modeste.
ELEMENTO NEGATIVO LEGATO ALLA QUALITA’.
I cibi con indice più alto sono quelli contenenti amidi o zuccheri semplici, che hanno subito uno o più processi di raffinazione (zucchero bianco, farina 00, dolciumi, pasta bianca) o a cui semplicemente è stato aggiunto molto zucchero (gelati industriali, sciroppi, bibite gassate, caramelle).
ELEMENTO NEGATIVO LEGATO ALLA PREPARAZIONE.
Una lunga cottura, rendendo immediatamente disponibili alla digestione gli zuccheri contenuti negli amidi, contribuisce ad alzare l’indice di alcune verdure, come per esempio le patate o le carote.
ELEMENTO NEGATIVO LEGATO ALL’ABBINAMENTO
L’assenza di un elemento proteico o lipidico, aumenta la pericolosità del piatto preparato e del singolo pasto.
ELEMENTO POSITIVO LEGATO ALLA QUALITA’.
La pasta, il riso, il pane integrali, rallentando il processo digestivo grazie alla fibra in essi contenuta, e grazie alle proteine contenute nel germe, abbassano l’indice (intorno a 50) e sono quindi meno dannosi.
ELEMENTO POSITIVO LEGATO ALLA PREPARAZIONE.
Oltre ai vantaggi di una cottura leggera o di assumere un cibo crudo, con intatto patrimonio vitaminico, val la pena di sottolineare che anche un filo d’olio su una patata lessa, rallentandone l’assorbimento, ne abbassa leggermente l’indice glicemico.
Non tutti i carboidrati sono “nocivi”, si tratta di scegliere con intelligenza tra l’uno e l’altro, diminuendo il consumo di quelli più dannosi.
I cereali integrali, ad esempio, ci forniscono tutta la ricchezza del chicco intero, un cibo che la natura ha creato perfetto.
Nel 1900 per il pane si usava tutto il chicco del cereale, la cariosside, formata da germe (embrione: oli insaturi omega-6, vit. B, oligoelementi, aminoacidi essenziali, enzimi) nutrimento (amido) rivestimento (crusca: glume e glumette)
E’ chiaro che a parità di peso della sostanza assunta, fare uso di alimenti ad indice glicemico più basso fa innalzare meno l’insulina, e dunque è preferibile sempre orientarsi verso quel genere di cibi.
Ma, come già accennato, l’indice glicemico non ha molto senso se valutato in modo isolato. E’ corretto considerarlo sempre alla luce del cosiddetto “carico glicemico” che stiamo assumendo. Calcolare il carico relativo ad una porzione di un cibo è certamente più corretto.
Il corpo infatti risponde non soltanto alla capacità di un cibo di innalzare la glicemia rapidamente (allarme di primo tipo) ma anche alla quantità complessiva di carboidrati ingerita, perché questi ultimi prima o poi si trasformeranno in zuccheri grazie alla digestione, e allora – seppure con un po’ di ritardo – l’insulina dovrà entrare in azione.
RISCHIO MEDICO
E’ dimostrato che un’alimentazione che faccia frequente uso di cibi con alto carico glicemico, provochi diabete di tipo II, problemi cardiovascolari e alcuni tipi di cancro.
Negli ultimi anni stanno fioccando centinaia di lavori scientifici che correlano un’alimentazione eccessivamente ricca di zuccheri con ogni genere di problema fisico e metabolico.
Via via che si comprendono i meccanismi di azione di un’alterata risposta dell’insulina risulta sempre più chiaro quanto la malattia più mortale al mondo (l’infarto) sia legata, oltre che ad uno stile di vita errato, soprattutto ad un’alimentazione che – attraverso un eccesso di zuccheri – crea fenomeni di insulino-resistenza e tendenza al diabete.
“Problemi cardiovascolari, diabete, obesità,…. C’è ancora altro?” 😯
RISCHIO MEDICO
Ultimamente anche la sfera sessuale si è scoperta dipendente da un’alterazione dei meccanismi di assorbimento degli zuccheri. Si è infatti trovata una correlazione inversa tra insulina e DHEA (deidroepiandrosterone, un ormone della corteccia surrenale precursore del testosterone e di altri ormoni sessuali).
Secrezioni troppo frequenti di insulina – come quelle che subisce chi faccia un uso eccessivo di zuccheri ad alto indice glicemico – inibiscono la produzione di DHEA, alterando da una parte l’equilibrio della nostra sessualità, e dall’altra portandoci verso aterosclerosi, obesità e diabete (patologie connesse con basse quantità di DHEA in circolo).
Un altro fattore in grado di aiutare a tenere sotto controllo gli sbalzi insulinici è il cromo.
Come documentato da diversi lavori l’assunzione di cromo (uno dei componenti del GTF, il Glucose tolerance factor, insieme alla niacina) contribuisce a rendere meno necessario l’intervento “antincendio” dell’insulina, risparmiando almeno in parte gli effetti collaterali ad esso connessi.
In affiancamento a tutte le possibili attenzioni, ricordiamoci di integrare dal punto di vista alimentare – sotto controllo medico – l’assunzione di questo prezioso minerale.
Fissiamo quindi con chiarezza i due concetti principali fin qui affrontati:
SCELTA DEGLI ALIMENTI:
teniamoci controllati su entrambi i parametri in gioco, indice e carico glicemico, quindi cibi e bevande che non siano troppo “incendiari”
MODERAZIONE DELLE QUANTITA’:
attenzione che le quantità complessive assunte non eccedano il nostro fabbisogno e la nostra capacità digestiva.
Spendiamo ancora due parole a sostegno di questo aspetto che rischia, a fronte dell’accento posto sempre sulla qualità dei cibi, di sembrare di secondaria importanza.
Numerosi esperimenti hanno documentato, su cavie, come la longevità e la salute aumentino immediatamente, con la sola riduzione delle razioni alimentari di circa un terzo. E’ una considerazione importante.
La qualità degli alimenti ha grande valore, ma non c’è buon cibo di alcun genere che, consumato in eccesso, non possa farci male.
Mangiare tanto ci fa invecchiare, richiede al nostro corpo un impegno continuo di tipo immunitario e di disintossicazione, impegna i nostri organi emuntori, appesantisce le nostre giornate con lunghi tempi di digestione.
Non c’è dieta di nessun genere che possa garantire la salute con un’alimentazione quantitativamente eccessiva.
Fissata una volte per tutte questa evidenza, vediamo l’applicazione pratica di quanto sopra esposto.
COME APPLICARE IL CONTROLLO DI INDICE E CARICO GLICEMICO
Tenere sotto controllo gli alimenti ad alto indice glicemico significa costruirsi mentalmente una tabella contenente i cibi incriminati, evitandoli tutte le volte che ciò sia possibile. Purtroppo però succede molto spesso che questi alimenti (per esempio lo zucchero raffinato) siano nascosti in altri cibi apparentemente più sani. Occorre quindi sapersi districare in mezzo a questi trucchi.
Proviamo dunque a fare un primo elenco di cibi “pericolosi”, per imparare a tenerli d’occhio.
Se ricerchiamo la calma insulinica, teniamoci il più possibile lontani da:
- Zucchero bianco e/o di canna
- sciroppo di glucosio
- gelati, marmellate, succhi o dolci molto zuccherati
- bibite gassate (o non gassate) dolcificate
- vino, aperitivi e superalcolici
- pane, pasta, dolci di farina bianca
- riso bianco
- cioccolato contenente zucchero
E’ il caso dei biscotti, dei dolci di pasticceria industriale, delle patate fritte, dei cracker, dei grissini, delle barrette energetiche, delle bibite (aranciate, tè dolcificati, cole, succhi di frutta dolcificati), del pan carré industriale, delle marmellate zuccherate, di certi corn flakes.
Tutti questi prodotti contengono grandi quantità di zuccheri ad alto indice glicemico, talvolta camuffati con nomi diversi per non apparire come ingrediente più importante.
In etichetta si trovano indicazioni come zucchero, saccarosio, sciroppo di glucosio, maltosio, destrosio, e chi più ne ha più ne metta.
Il significato è che devono dolcificare il prodotto, allo scopo di coprire delle materie prime (farina bianca di bassa qualità) prive di sapore e di gusto.
Il risultato, nel nostro organismo, è comunque un rapido innalzamento della glicemia, accompagnato il più delle volte, da un’inutile fornitura di calorie “vuote”, che non apportano alcuna vitamina, minerale o altro fattore probiotico.
Anzi la digestione di questi alimenti pericolosi sottrae al corpo preziosi elementi (calcio, enzimi, vitamine).
Ciao Lucio, un benvenuto ufficiale anche a te nel Blog! 😀
Il tuo post è molto denso e ricco di informazioni sullo zucchero, il nostro approccio in Autodifesa Alimentare come hai notato parte dalla necessità di creare una formazione di base, ma indubbiamente molti colleghi e tecnici della nutrizione apprezzeranno questo approfondimento… 😉
Mi è piaciuto molto il modo in cui hai dipinto le condizioni di procacciamento del cibo in cui vivevano i nostri antenati. Se hai letto il nostro ebook “Riattiva il metabolismo in 5 mosse” probabilmente avrai trovato delle somiglianze…
Quello che oggi sfugge a molti è che l’abbondanza dei cibi nella quale sguazziamo (perlopiù lavorati e raffinati) rappresenta una condizione assolutamente nuova nella storia dell’umanità che peraltro non offre solo vantaggi…
E può essere anche molto utile la tua rapida trattazione del carico glicemico, che normalmente introduciamo solo in modo indiretto nel Corso per non creare confusione…. Dato che lo citi mi fa piacere a questo punto aggiungere qualche dettaglio in più a beneficio di tutti i nostri lettori.
Il carico glicemico NON è altro che – come anticipa Lucio – il risultato della quantità di zuccheri presenti in quello che mangiamo moltiplicato il loro indice glicemico. In questo senso NON è una caratteristica dei cibi, ma rappresenta in un certo senso l’impatto complessivo di tutti gli zuccheri che mangiamo come stress insulinico.
Il melone, tanto per restare nell’esempio, ha IG (indice glicemico) pari a 60, mentre la l’uva ha IG 45. Ora, se guardassimo solo all’IG, ne deriverebbe che è meglio mangiare uva che melone. Tuttavia, se guardiamo quanti gr di zuccheri hanno entrambi, vediamo che il melone ha il 7,4% di zuccheri, mentre l’uva ne ha il’15,6%. La domanda è: ai fini del carico glicemico, e dunque di ciò che abbiamo detto in prima lezione, è meglio mangiare 100 g di melone o 100 g di uva?
– 100 g di melone hanno un carico glicemico di 60(IG) x 7,4(g di zucchero)=444
– 100 g di uva hanno un carico glicemico di 45(IG) x 15,7(g di zucchero)=702…
Dunque il carico glicemico di 100 gr di uva è quasi il doppio di 100 gr di melone…
Questo, come dice Lucio, ci riporta al discorso delle quantità di cibo…su cui inevitabilmente torneremo.
Comunque dato che il carico dipende dal peso, teniamo a mente come regola di base che se per misurare la dannosità glicemica di uno spuntino di poche decine di grammi spesso basta l’indice glicemico (es. dolci, caramelle, zuccheri), mentre per valutare la dannosità di un pasto – normalmente nell’ordine degli etti – dare un’occhiata al carico glicemico può dare la differenza. Senza dimenticare, se proprio vogliamo dirla tutta, che l’aumento delle quantità di cibo rallenta anche la velocità con cui mangiamo e con cui – di conseguenza – reagisce il pancreas…
Ancora una volta, nella filosofia del “Pensiero Alimentare Positivo” di Autodifesa Alimentare, per non demonizzare alcun cibo basta sapere a grandi linee come reagirà il nostro corpo.
Alla prossima! 🙂
Vorrei mettere in evidenza un aspetto del problema dei carboidrati presenti nelle nostre diete poco conosciuto e ancor meno considerato e che rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione per quello che assumiamo.
Si tratta del fatto che la composizione degli alimenti attuali, anche naturali, è notevolmente diversa rispetto a quella del passato. Il motivo principale ( ma non l’unico ) va imputato all’ avvento dell’agricoltura, almeno diecimila anni fa, che ha gradualmente ma inesorabilmente modificato il profilo nutrizionale dei vari generi di semi, frutti e piante, selezionando le varietà più adatte alle esigenze ( un esempio è la panificazione ) e ai gusti delle popolazioni.
Il risultato si traduce, fra l’altro, in una maggiore percentuale di glucidi ,sia nei cereali che nella frutta, alla quale il nostro organismo non è evidentemente ancora del tutto insensibile, in quanto la nostra costituzione biologica non si è ancora adattata, richiedendo tempi molto più lunghi.